Una domanda circolare

Ci sono dei giorni in cui ho la netta sensazione di essere circondato da nugoli di malati di mente; non parlo della società in genere, parlo di coloro i quali gravitano abitualmente intorno a me. Come prima reazione a questa straordinaria coincidenza, mi dico che sarà il mio karma, il mio tikkun, devo scontare questa difficoltà (diciamo eufemisticamente) relazionale per comprendere qualcosa, che al momento mi è del tutto ignoto; subito dopo, però, mi dico, ma non è che sei tu il malato di mente, visto che è insegnamento consolidato, forse luogo comune, ma qualcuno diceva che i luoghi comuni rispecchiano le verità, quello secondo cui il malato di mente ritiene che gli altri siano malati di mente, e lui no? eppure dispongo di indici oggettivi che non possono essere messi in discussione. E se questi indici fossero considerati oggettivi soltanto da me? E se qualcuno mi rispondesse, guarda che il malato di mente sei tu, e quel qualcuno che mi ha dato questa risposta fosse un malato di mente? In sintesi, la grande domanda è: e se lo psicologo, che compulsa con grande sicumera il suo fidato DSM-IV, fosse realmente più malato del suo paziente?
W.B.

Commenti

Unknown ha detto…
La patologia della psiche, in estrema sintesi, è un vizio delle capacità neurologiche e/o cognitive che si manifesta soprattutto nella relazione. Per quanto prossime e poste in osmosi, l'alterazione mentale non deve essere considerata unica discriminante del difetto decisionale e dell'agire, che compete anche al campo delle patologie dello spirito, e non solo della psiche. Solo in casi particolarmente gravi la patologia dello spirito può arrivare a generare da sola comportamenti fortemente anomali e reiterati; è da riconoscere come tali casistiche siano maggiormente diffuse in particolari momenti storici in cui l'ethos civile non garantisca solide basi comuni di discernimento. Autori come Sebastian Brant hanno ben illustrato questo processo, da tenere in considerazione prudentemente nei nostri tempi. Tornando al quesito iniziale, rifuggendo da ogni prospettiva soggettivistica e generalizzatrice, l'unico elemento su cui fare affidamento, per comprendere se e dove sia presente un vizio della sfera psichica di un individuo, è un dato oggettivo (comportamentale), che si presume non completamente volontario, e altresì sorretto da un criterio di valore. Qualora il giudizio espresso sul prossimo osservato non sia disgiunto dal giudizio di sé, e sia teso ad evidenziare un'aporia comportamentale nella realtà rispetto al valore di riferimento, e questo comportamento risulti non del tutto volontario, allora il criterio adottato ha le condizioni per essere esaustivo da un punto di vista analitico. In sostanza, un folle non solo si comporta con costanza in modo pragmaticamente illogico, ma comportandosi in tal modo vìola macroscopicamente e involontariamente un presupposto eticamente rilevante, e atto a identificare la correttezza del suo discernimento mentale della realtà. Una persona mentalmente disturbata farebbe fatica a identificare i motivi basilari del proprio agire, e manifesterebbe una sensibile chiusura percettiva verso l'altro da sé, come conseguenza (non a caso il "folle" s. Francesco, è solo tale nel profilo di illogicità razionale, non certo assiologica). Questi sono indici che consentono anche all'osservatore disturbato (non in modo tanto grave da intaccare la sua onestà di giudizio etico) di comprendere chi sia davvero affetto da un'alterazione, e anche se questa riguardi uno status fisiologico o spirituale.

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