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Visualizzazione dei post da febbraio, 2014

Il mito della velocità (17)

Secondo l’art. 1218 del Codice civile, norma “cardine”, “il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”. I lettori più attenti - che hanno seguito gli ultimi post - avranno subito notato l’avverbio “esattamente”. Il legislatore, qui, non ha osato adoperare la diversa espressione “perfettamente” (riservata spesso - ma a mio avviso erroneamente - a una sfera non umana), ma il concetto è quasi il medesimo. Su questa norma, a commento, sono state scritte centinaia di monografie. Tuttavia gli interpreti raramente si soffermano sul significato dell’avverbio “esattamente”. Il Codice civile del 1865, alla norma corrispondente, seppur con una diversa formulazione, usava lo stesso avverbio: “chi ha contratto un’obbligazione, è tenuto ad adempierla esattamente e in mancanza al risarcimento dei dan

Il mito della velocità (16)

Viaggiavo sul treno. La corrente elettrica non arrivava in nessuna postazione. La batteria del portatile stava esaurendosi. Mi lamentai del fatto con il capotreno. Quest’ultimo rispose con una frase che ancora oggi, a distanza di anni, mi sta facendo riflettere. Mi disse: “Il nostro obbligo è quello di trasportare lei dal punto “a” al punto “b”, e basta.”. Questa frase sembra banale, ma non lo è affatto. “Il nostro obbligo è quello di trasportare lei dal punto “a” al punto “b”, e basta.”. Di primo acchito risposi di getto con la mia consueta - e spesso irritante - ironia. “E allora fateci viaggiare sul tetto come in India, tanto l’obbligo è ugualmente assolto, no?” La frase pronunciata dal ferroviere ci deve far riflettere sul contenuto essenziale delle obbligazioni. Il contenuto essenziale delle obbligazioni, a sua volta, disvela - seppure in maniera indiretta - quali siano gli scopi essenziali per i quali si fanno le cose che si fanno (*). In ultima analisi, poss

Il mito della velocità (15)

Dunque i sostenitori del brocardo “l’ottimo è nemico del buono” potrebbero formulare un’ultima eccezione, l’obiezione più difficile da confutare. Costoro potrebbero opporre: Doppiovubi, come si fa a stabilire quando una cosa sia compiuta perfettamente? il concetto di “perfezione” non è assoluto (*); a seconda delle opinioni, qualcuno potrebbe sostenere che la perfezione - in senso soggettivo - ci sia stata, anche se tu lo neghi; più in generale, sostieni che l’azione sia stata “perfetta”, ma ciò si può affermare sempre e soltanto rispetto a un singolo obiettivo, a uno specifico risultato, mentre ogni azione può avere (e anzi non può non avere) svariate e contemporanee finalità, e, anzi, non compiamo mai un’azione avendo di mira un singolo obiettivo. Facciamo un esempio, Doppiovubi. Un tramviere può guidare in molti modi. Se egli ritiene che il suo scopo sia quello di portare i passeggeri a destino nel minor tempo possibile, egli giudicherà “perfetta” la sua guida anche se avrà t

Il mito della velocità (14)

Quindi, dobbiamo fare molte cose che non vorremmo fare, e le dobbiamo fare per molto tempo, in proporzione alla nostra giornata. Questi due elementi (la necessarietà e la durata relativa di queste azioni) sono - quasi sempre - ineludibili. Se è vero, come è vero, che sono ineludibili, abbiamo soltanto due alternative. La prima è quella di desiderare ardentemente e ossessivamente la fine del “lavoro”, “sognare” continuamente la c.d. “serata” (*), il fine-settimana, o le “ferie”, i “ponti”, sperare in uno sciopero o in un’assemblea sindacale, nell’annullamento fortuito degli impegni, o, nella -davvero- peggiore delle ipotesi, quella che rappresenta l’inizio della fine, “the beginning of the end”, agognare la pensione. Questo significa lavorare male, e -conseguentemente, dato che il lavoro occupa gran parte della nostra vita- vivere male. La seconda è accettare lo stato di cose, e -preso atto che dobbiamo lavorare- cercare di vivere l’esperienza lavorativa al meglio; ciò signif

Il mito della velocità (13)

La terza eccezione (“fare più cose - non al meglio - libera tempo ed energia per le attività che ci interessano davvero”) è fallace, subdola e autolesionistica. Ecco di seguito la confutazione. Sappiamo molto bene che la grande (stra-grande, si suol dire) maggioranza di noi deve lavorare per vivere, e, se anche tecnicamente non “lavora”, deve svolgere una serie di attività -non remunerate in maniera diretta- che comunque sono “necessarie” e non possono non essere svolte (*). L’elemento che qui ricorre è il “dovere”, nel senso che, volenti o nolenti, non possiamo astenerci dal farle, se non con conseguenze perniciose. Oltre a essere doverosa, quest’attività, alla quale siamo in qualche modo costretti, “occupa” gran parte della nostra giornata, e quindi, sul lungo periodo, della nostra vita. Anche i c.d. “fine-settimana”, ormai, vengono - lentamente ma inesorabilmente - “aggrediti” e “consumati” dalle cose “da fare” (**), e non si dovrebbero neppure più chiamare così. Quindi,