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Visualizzazione dei post da ottobre, 2007

Il male

Non ricordo più dove - ma lo cercherò e ne darò conto - Seneca tratta del problema del rapporto tra Dio e il male. E' il tema che ogni uomo, prima o poi, nella sua vita, deve affrontare. In pillole: se Dio (esiste e quindi) è, per definizione, buono, perché esiste il male? Dio, che è onnipotente, perché consente che l'uomo soffra? Naturalmente, il problema diventa gravissimo quando ci riferiamo ai casi di sofferenze del tutto incolpevoli (ad esempio, il neonato che si ammala e muore). Leibniz, che ha studiato a fondo l'argomento, su cui ha scritto i Saggi , ha addirittura coniato il neologismo teodicea , ma il problema si pone da quando l'uomo esiste. Per chi volesse conoscere tutti gli aspetti del problema, nessuno escluso, consiglio l'ottimo e completo Dio nel dolore , di Armin Kreiner, ed. Queriniana. Torniamo a Seneca. Non ricordo, come dicevo, dove lo dice, ma ricordo cosa dice. Secondo Seneca, il male, la sofferenza, il dolore sono esclusivamente opera di Dio.

La preghiera

" Lo spirito è eternamente libero. Gli "stati di coscienza" e il flusso della vita psicomentale gli sono estranei". ( Mircea Eliade) Credo che uno dei motivi della grave crisi in cui versa la Chiesa cattolica sia l'eccesso di razionalità che caratterizza il rapporto che il fedele ha, o deve avere, o dovrebbe avere, con il divino. Dovremmo essere tutti d'accordo sul fatto che, se una parte immortale dell'uomo esiste, quella non coincide con la mente e non risiede nella mente. L'anima, o lo "spirito", non ha niente a che vedere con gli stati psichici ed emotivi. I pensieri, nella loro qualità fisica di corrente elettrica, fanno sicuramente parte del mondo finito, della materia, del corruttibile. L'anima non è, non si identifica con la mente, come ben scriveva Eliade, sopra citato. Se questo è vero, il rapporto con il trascendente è ben difficilmente realizzabile mediante il pensiero (e quindi mediante il linguaggio, perché il pensiero

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Mi sono chiesto per quale motivo riscuotano tanto successo, tra il pubblico, le cosiddette "saghe". Perché tanti appassionati, solo per fare qualche esempio, della trilogia di Tolkien o di "Guerre Stellari"? In questi casi, la storia completa è già stata interamente pensata e sviluppata (e in qualche caso addirittura già scritta), sin dall'inizio. L'intreccio si dipana lentamente. Alcuni indizi si rivelano subito, altri con il tempo. Ma il lettore, o lo spettatore, si accorge che il puzzle non è affatto casuale, che la trama nasconde un disegno complesso. C'è il desiderio di scoprire qualcosa che non emerge nell'immediato. Qualcosa di nascosto, di profondo, c he va oltre quello che sembra . Forse le "saghe" colmano un vuoto. Chi le ama, è alla ricerca di un significato. Perché la realtà, alle volte, sembra così priva di significato. W.B.

Pietra

Se devo impegnarmi a costruire una casa, preferisco farlo su un terreno solido, che so reggerà in perpetuo, anche se dovrò faticare un po’ di più, piuttosto che dedicare le mie energie a erigere una costruzione su un terreno che, prima o dopo, franerà. W.B.

Avversità?

Chi ha letto il post precedente, avrà capito che considero le avversità come indispensabili per la crescita. Non mi riferisco, banalmente, alla "crescita della personalità" o al "miglioramento" o "irrobustimento" del "carattere", come insegnano i telefilm americani. Le avversità della vita sono direttamente funzionali all'evoluzione dell'anima, ovvero della nostra parte immortale. Esse rappresentano addirittura qualcosa di sacro. Vanno considerate come un fatto sacro. E rispettate. E accettate. Per la loro altissima funzione. Ed è il motivo per cui siamo qui. L'evoluzione della nostra anima. Credo. W.B.

Soggetto

Torno a scrivere dopo diciotto giorni. Nel frattempo la mia anima si è un poco, appena appena, elevata. E questo grazie alla sofferenza e al dolore. La nostra mente finita non può conoscere la realtà oggettiva. Non si può dunque nemmeno parlare della realtà oggettiva, come diceva Wittgenstein. Io credo che ciò di cui si può parlare davvero sia il sé. Paradossalmente, l'unica nostra conoscenza oggettiva è la nostra mente soggettiva. E siamo solo noi, i padroni della nostra individualità, a poterla descrivere al prossimo. Siamo solo noi ad averne l'autorità. Nessuno può sapere cosa si cela dentro di noi, se non noi. E allora, vorrei ascoltare chi mi sta vicino quando parla di sé. Quando mi rivela qualcosa di unico e di reale. Il suo sé. Qualcosa che, su wikipedia, non potrò mai trovare. W.B.

Generalizzare

"Generalizzare è sbagliato". Spesso lo si sente dire (su google la ricerca tra virgolette "generalizzare è sbagliato" restituisce, al 3.10.2007, 617 risultati). Poi abbiamo la versione "radicale" ed "estrema": "generalizzare è sempre sbagliato" (addirittura con più risultati della versione "base", ovvero 759). "Non bisogna generalizzare" porta 983 risultati. Se poi si cerca, non tra virgolette, "generalizzazioni" in una con "sbagliate", i risultati (per la verità, non sempre attinenti) ascendono a 168.000. Inoltre, all'espressione "generalizzare è sbagliato", spesso si accompagnano alcuni avverbi molto significativi ( ovviamente , certamente , indubbiamente ). Ma lo sentirete dire in ogni circostanza, ovunque. Fa parte del novero di quelle espressioni che ormai sono entrate nel linguaggio comune, espressioni che definirei molto comode , perché normalmente vengono approvate dall'

Cattivo

Chi ha studiato un po' di latino sa bene che l'aggettivo "captivus" significa "prigioniero" (infatti "captivus" deriva da "capere", ovvero "prendere"). L'animale "in cattività" non è l'animale particolarmente ringhioso, bensì quello in gabbia. Al di là dei false friends, v orrei però richiamare l'attenzione sull'etimologia della parola "cattivo". Il significato odierno passa attraverso il latino cristiano "captivu(m) diaboli", ossia "prigioniero del diavolo". Mi riferisco al mio amato etimologico DELI, e trascrivo fedelmente: "... il Pagliaro nota come il dantesco 'cattivo', "lungi dall'avere il significato che il vocabolo ha conseguito nella lingua comune, di contrapposto a 'buono', cioè 'malvagio'... ha quello di 'misero', che gli deriva dalla sua origine da diaboli captovis , cioè di 'sciagurato, senza difesa di fronte a

Hummer

Forse qualcuno avrà visto dal vivo un "Hummer". Un "Hummer" è un'auto impressionante, anzi, un S.U.V., sigla che significa "Sport Utility Vehicle". Io, più semplicemente, lo chiamerei una "macchinona", infatti è gigantesco. A me ricorda un veicolo militare. In realtà ho scoperto che "Hummer" è la casa costruttrice. Però si sente dire "un Hummer" (anche se si dovrebbe dire "una Hummer"). Un Hummer "H2 SUV 6.0 V8 Adventure", sono andato a vedere sul listino, costa esattamente, oggi, 70.650 euro, modello base, "chiavi in mano", come si suol dire. Qualche sera fa, in corso Garibaldi ho visto un Hummer nero nero, come il carbone, parcheggiato, naturalmente, sul marciapiede. Meglio: naturalmente parcheggiato sul marciapiede. E forse è naturale, per l'Hummer, essere, trovarsi sul marciapiede. Peraltro, sul marciapiede di corso Garibaldi non so quale "adventure" si possa sperimentare. Co